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giovedì 1 novembre 2007

Eliminare il precariato.La nuova sfida della politica economica

Quando si parla di economia e di politica economica vengono subito in mente tre parole chiave, rappresentative della condizione italiana e cause
del malgoverno che ha retto il nostro paese dal 2002 ad oggi: precariato, disoccupazione e debito pubblico.
A partire dalla seconda guerra mondiale il sistema economico italiano, retto dall’agricoltura, si è modificato fino ad arrivare al boom economico che ci ha permesso di ricominciare, timidamente, a parlare di crescita. Dal 2002, però, il pil ha iniziato a diminuire fino a raggiungere lo stato di recessione.
In un paese in cui la mancata crescita è da attribuire principalmente ad uno squilibrio netto tra esportazioni ed importazioni, a favore naturalmente delle prime, il motore che potrebbe, col tempo, riportare l’aumento del pil è costituito
dalla forza lavoro. Verosimilmente l’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori significherebbe aumento delle spese e quindi circolazione di moneta. Secondo questo ragionamento il primo elemento che la politica economica dovrebbe eliminare è il precariato. Rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti il nostro possiede i redditi più bassi non solo in valore assoluto ma anche in termini di potere d’acquisto; condizione resa ancora più critica dai precari, impossibilitati
ad accumulare risparmi. Un recente studio ha stabilito che i precari in Italia sono 2.809.000 ai quali occorre aggiungere 948.000 persone appena uscite da una condizione di precariato e in attesa di una nuova occupazione. Niente di più attuale vista la campagna iniziata con il deputato no-global del Prc Caruso e il “Precarity day” che ha impegnato la capitale dall’8 ottobre e che si concluderà solo
il 20 del mese, giorno della manifestazione contro la Legge Biagi (legge 30/2003). Il movimento si oppone soprattutto al Protocollo sul Welfare siglato
da Governo e parti sociali il 23 luglio ma critica apertamente anche la legge 30 del 2003, vista come l’artefice del precariato. L’ordinamento giudiziario introduce, in effetti, la flessibilità nel mercato dell’occupazione come mezzo migliore per agevolare la creazione di posti di lavoro in base ad una visione smithiana e liberista del mercato e riduce la possibilità di intervento della magistratura nelle
questioni contrattuali. Al di là delle legge in sé che pur contiene i suoi pregi e i suoi difetti,la condizione dei giovani italiani, oggi, è quella, più spesso documentata, anche ultimamente da Maurizio Ricci, di “generazione debito”. Giovani
sempre più precari e impoveriti che vivono grazie ai prestiti necessari anche per comprarsi l’i-pod.
Non ci resta che attendere gli effetti benefici del protocollo Welfare: almeno si spera.

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