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venerdì 25 gennaio 2008

Doveri del popolo globale.


Che cos’è la globalizzazione? Quali effetti ha portato nel nostro paese e in tutto il resto del mondo? Perché in seguito ad essa alcuni popoli hanno visto migliorare le loro condizioni di vita mentre altri le hanno viste peggiorare? Che cosa non ha funzionato? Forse è per questo che parte della società civile la critica aspramente? Com’è possibile che gran parte di noi, di fronte alla gravità e alle conseguenze del contrasto fra agi e miseria, conduca una vita priva di problemi e di preoccupazioni?
Con il termine globalizzazione si intende il processo di crescita progressiva degli scambi e delle relazioni a livello mondiale. L’ambito non è solo quello economico ma anche quello sociale, tecnoligico e politico. Di conseguenza non basta parlare di commercio mondiale e dello strapotere delle multinazionali per risolvere il primo quesito. Occorre ricollegare il termine a quello di globale o meglio di “villaggio globale” come l’avrebbe chiamato Mc Luhan. Se infatti con la globalizzazione e soprattutto con le nuove tecnologie gli attori economici stanno cercando di unificare il mondo; è anche corretto dire che il mondo di cui stiamo parlando non è il mondo intero ma solo quello ricco e avanzato. I cosiddetti PSV, i paesi sotto sviluppati, non possono sorridere alla globalizzazione, come invece facciamo noi, perché per loro non è cambiato nulla; anzi qualcosa è addirittura peggiorato. Sicuramente il fenomeno non ha portato direttamente la povertà, ma ha innescato dei meccanismi che inevitabilmente hanno finito per aumentare a dismisura il potere dei paesi ricchi a dispetto di quelli poveri che si sono visti automaticamente dipendenti da quest’ultimi. Il termine globale non significa solo che posssiamo acquistare prodotti, conoscere gente e visitare tutto il mondo. Il suo significato va ben oltre i nostri egoismi. Significa che i problemi di un popolo lontano da noi sono anche i nostri, perché viviamo nello stesso mondo. Perchè se una superpotenza costringe alla povertà un altro paese non possiamo voltarci dall’altra parte.
Vi è una forte discrasia tra la percezione che il mondo sviluppato ha della globalizzazione e il processo in sé. La facilità con cui le merci si spostano, la mobilità dei modelli sociali, giuridici e culturali e la percezione di un sistema economico fortemente connesso oscurano la nostra vista. La globalizzazione non è un fenomeno globale. A godere dei suoi benefici sono solo i paesi ad alto reddito. Non tutti sono connessi al sistema; è per questo che i critici parlano di digital divided . E’ pur vero che il processo di unificazione mondiale iniziato con la diffusione delle nuove tecnologie è stato solo completato dal commercio e dalle liberalizzazioni dei servizi e delle istituzioni bancarie (anche se solo per i firmatari del patto di Ginevra).
In un momento in cui assistiamo al massimo della liquidità e della circolazione dei capitali, il mancato flusso di questi verso i paesi poveri non fa che avvalorare la tesi no-global.
Difficile definire, dunque, che cosa sia in concreto la globalizzazione senza incorrere in generalizzazioni. Alcuni parlano di uno spettro malefico da combattere, altri di una formula magica e dell’unica ancora di salvezza di un mondo, ormai alla deriva. Difficile scegliere l’una o l’altra fazia.

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